Sviluppo locale, Genesi e situazione attuale
Esordisco riportando qualche
statistica per far comprendere la dimensione del tema trattato. In Europa vi
sono circa 5 milioni di artigiani, di cui 1,8 milioni sono presenti in Italia.
In Italia nel 2006 erano presenti circa 400.000 imprese, oggi ridotte per via
della congiuntura economica negativa a 250.000. Lo sviluppo locale può essere
considerato una croce e una delizia. Inizierei facendo un excursus storico.
L’Italia ha uno sviluppo
duale a partire dal 1900, l’Italia del centro-nord ha uno sviluppo agganciato
al resto d’Europa, mentre il sud era in una condizione cronica di sotto
sviluppo. Questo si può sinteticamente spiegare perché l’Italia del centro-nord
era agganciata ai flussi e le correnti , commerciali e di pensiero dell’Europa
centrale, mentre il sud al contrario era escluso da tutto ciò. Ma non è tutto,
cosa cambia tra il territorio del sud e il resto d’Italia?
Alcuni illustri sociologi
economici hanno rinvenuto alcune elementi di differenza:
Nel sud Italia era diffusa la
cultura del latifondo, il bracciante lavorava il terreno altrui in una logica
salariale, diremmo oggi per “fare la giornata”,mentre nel resto d’Italia era
diffusa la cultura della Mezzadria, il contadino lavora il terreno altrui in
una logica contrattuale ma non vincolante, lavorare il terreno per poter
fornire di viveri la propria famiglia e pagare una quota al proprietario
terriero. Il contadino è abituato al fai da te, diversamente dal bracciante che
svolge quell’attività solo per il salario. Il contadino del “nord” sa fare
conto perché deve “mandare avanti” l’economia familiare, è l’imprenditore. La
mezzadria impone la costruzione di un rapporto fiduciario tra i braccianti, e
questo rapporto sfocia nella costruzione per la comunità (dei braccianti) di
strade interpoderali, ma anche di altre infrastrutture.
Sul piano sociologico si
individuano differenze anche sul piano delle famiglie. Al centro nord vige il
modello della famiglia allargata, ovvero la costruzione di un gruppo di lavoro
familiare, che spesso non coincideva con la famiglia nucleare. La famiglia è
propensa ad una forte etica del lavoro, alla condivisione di risorse, a
compensazioni interne, la famiglia cioè è un capitale sociale.
Al sud vigeva (anzi vige!) un
modello di familismo amorale. Sono culture familiari che sviluppano al loro
interno la massima fiducia, mentre hanno diffidenza verso l’esterno. Possiamo
notarlo anche noi, abbiamo un diverso rapporto con i beni pubblici,
privilegiamo gli interessi privati, siamo i free rider. ( fin quando non
danneggiano la mia proprietà non mi interessa ciò che accade fuori).
Questo è il contesto in cui
nasce e progredisce lo sviluppo locale. Nel frattempo, nel nord ovest Italia,
si sviluppa il modello one company- one town, ci riferiamo a Milano e Torino.
Queste città sotto il flusso delle conoscenza Europee, si sviluppano
all’inverosimile nel campo industriale, l’emblema è Torino con la Fiat. Questo porta alle
migrazioni dei contadini del sud al nord per trovare lavoro. Doppia frattura
sociale, le campagne del sud si svuotano, mentre il contesto locale delle città
del nord è impreparato ad assorbire un flusso di popolazione elevato. Per non
dire che tali zone negli anni 80 saranno al culmine del declino del modello
fordista. Le zone interne dell’Italia, o per meglio dire le zone della dorsale
adriatica rimangono estranee a questo evento. Perché?
Perché a partire dagli anni
50-60 vi è una dismissione di attività prevalentemente francesi e inglesi, in
particolare abbigliamento, mobilio, opere manuali in genere perché ritenute
mature. La famiglia allargata del centro- nord Italia coglie l’occasione
imprenditoriale, e sfrutta le conoscenza tacite ( i sapere familiari) per
realizzare piccole attività. Si forma la figura del metal- mezzadro. Le
famiglie svolgevano sia attività agricola sia attività di produzione di piccoli
manufatti… sedie, banchi, scarpe, vestiti ecc..
E’ un fenomeno endogeno, auto
propulsivo.
Perché questo al sud non è
avvenuto? Basta analizzare il contesto delineato poc’addietro.
Altro punto importante è che
le Regioni del centro-nord sono dotate di continuità territoriale, le famiglie
erano diffuse nel territorio in modo capillare, era difficile riconosce il
paese. Al sud (e qualsiasi persona meridionale lo può notare) i confini delle
città si riconosco. Gli elementi sono città e campagna circostante, questo si
ricollega al fenomeno del latifondo; il territorio del sud è frammentato.
Ma chi regolava lo sviluppo
locale? Lo Stato?
Lo Stato inizialmente era
assente da queste dinamiche, l’organo che regolava questo sviluppo, era la Famiglia.
Questi conglomerati di
piccole botteghe col tempo aumentano di dimensioni, sia perché realizzando
prodotti di alta qualità in quanto non sfruttano la catena di montaggio e
quindi possono offrire prodotti diversificati, sia perché i beni prodotti
sfruttano i flussi migratori verso l’America.
Giusto per fare qualche nome,
da qui sono nati imprenditori come Benetton, Diego Della Valle, L. Del Vecchio.
L’espandersi di questi
piccoli territori “familiari” ha portato alla nascita di quelli che oggi sono i
distretti industriali. Distretti industriali che sono definiti da l’illustre
Beccatini, come continuità, relazione, tra popolazione e territorio,
caratterizzate da una produzione monosettoriale. Perché monosettoriale? Il
modello fiduciario richiamato in precedenza permane ancora, vi è chi nel
distretto di produzione delle scarpe, produce la suola, chi la pelle, chi i
lacci ecc….
Ma oggi? Che è successo a
questi distretti?
I problemi riguardano la
concorrenza nel mercato internazionale e l’inadeguato sviluppo di servizi
innovativi (per colpa dello Stato? O dei rappresentanti locali?).
Lo sviluppo, come già detto,
inizialmente non era governato né al centro né nelle periferie (perfetta
assenza dello Stato).
Nel momento in cui si apre il
mercato viene richiesto l’intervento delle istituzioni.
Nel contesto italiano si sono
avute due tipi di politiche, due binari differenti, politiche per il nord e
politiche per il sud.
Ricordate il termine
“cattedrali nel deserto”? bene, è collegato alla fallimentare cassa del
mezzogiorno[1]. Fallita perché quei fondi
sono andati persi per via della corruzione, delle politiche clientelari delle
istituzioni meridionali.
Qualcuno sostiene che la
struttura istituzionale italiana è soggetta a cicli ventennali.
Anni 90, ricordate
tangentopoli? La serie di inchieste politiche? La crisi politica istituzionale?
Diciamo senza entrare nel merito che tale situazione “purgò” l’assetto
istituzionale italiano.
Nel 1991, avviene un piccolo
passo verso il decentramento, versa la promozione delle autonomie locali la
legge Bassanini. Oggi deflagra il sistema della autonomie su cui si era riposta
fiducia nel 1991; fallimento delle autonomie locali.. giusto per fare qualche
nome, Sicilia, Lombardia, Lazio.. Dopo vent’anni ci troviamo nuovamente con un
governo tecnico, si ricorda il governo tecnico del 1991, in piena crisi
economica, svalutazione e attacchi speculativi alla Lira, un paese sull’orlo della banca rotta.
Ritornando al discorso
dei distretti industriali, la prima legge che se ne occupa è la legga 317/1991[2].
All’art. 36 indicava i distretti industriali come “le aree territoriali locali caratterizzate da elevata concentrazione di
piccole imprese, con particolare riferimento al rapporto tra la presenza delle
imprese e la popolazione residente nonché alla specializzazione produttiva
dell'insieme delle imprese”. Tale
norma di fatto riconosceva il fenomeno dei distretti ma non ne dava una
definizione, ma in soccorso fu emanato successivamente Il Decreto di attuazione
(D.M 21 Aprile 1993, c.d. decreto “Guarino”) per l’individuazione delle
aree di “distretto industriale”. Tale decreto individuava sulla base di criteri
statistici i distretti industriali, ma tali criteri non corrispondevano alla
realtà concreta del fenomeno distrettuale e difficilmente la normativa non ha
potuto essere applicata. Per risolvere
in parte questi problemi fu emanata la legge 140/1999[3] che
individuava dei criteri di riconoscimento dei distretti più flessibili. Le Regioni,
anche se con molto ritardo, avviano la procedura legislativa, ma nel 2006 in accoglimento della
Legge finanziaria cambia la legge di “promozione” dei distretti, ciò comporta
limiti di spesa e fiscali. In realtà, nel 2006, l’allora ministro Bersani
realizzò un programma chiamato “industria 2015[4]”, il
quale individuava sostanzialmente tre strumenti per la competitività e il
rilancio della politica industriale:
Ø Reti di
imprese
Ø Accesso al
credito
Ø Progetti
innovativi
Queste politiche
ondivaghe sono state accolte con scarsa coerenza dalle PMI, perché sono rivolte
alle sole imprese innovative. Si critica l’impianto legislativo perché
l’intervento deve essere rivolto ad un territorio, ad una zona e non alla
singola impresa. In termini economici, una politica di promozione di un
conglomerato di imprese ha esternalità positive maggiori rispetto ad una
politica di incentivazione rivolta ad una singola impresa. Ad esempio, dei
fondi statali potrebbero esser spesi per migliorare e rafforzare le linee di
comunicazione di un territorio. Di questo sviluppo ne beneficerebbero tutte le
imprese di quel territorio, ma anche soggetti terzi (cittadini, turisti
ecc.).La politica di promozione verso una singola impresa rafforza essa stessa,
in minima parte (anzi piccolissima) ne beneficia l’economia esterna.
L’esempio pratico può esser
individuato nell’ Alcoa[5].
Nell’ 1996 essa si insedia nel territorio italiano (sede direzionale a Milano),
con alcune unità produttive, tra cui una a Portovesme (Sardegna).
L’insediamento in tale zona fu favorito da Aiuti statali. Attualmente l'unità
di Portovesme è in via di chiusura definitiva, nel contesto di un piano di
ristrutturazione globale dell'azienda.
Secondo il ragionamento
svolto poco fa, sarebbe stato economicamente vantaggioso investire nel
territorio anziché direttamente nell’impresa, ad oggi gli investimenti fatti
avrebbero migliorato l’appeal di quel
territorio. Esempi come questo ne stanno in quantità, basti pensare alla Fiat,
alla Motorola e via discorrendo.
Questa problematica si
collega ad una miriade di problemi di cui è affetta l’Italia, disoccupazione,
precarietà, basso sviluppo di imprese e servizi ecc., ed è conglobato, a mio
modo di vedere, ad un’inefficienza ed inadeguatezza della governance statale e
locale, che non riescono a porre in essere politiche economiche adeguate.
[1] Dall'inizio dell'operatività, nel 1951, sino al 1992 (ultimi dati
conosciuti) e sotto il nome sia di Cassa per il Mezzogiorno che AgenSud, ha elargito alle regioni meridionali
un totale di 279.763 miliardi di lire, pari a circa 140 miliardi di euro[1].
La spesa media annuale è stata di 3,2 miliardi di euro.
[2] Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle
piccole imprese. (GU n.237 del 9-10-1991 - Suppl.
Ordinario n. 60 )
[4] Messo a punto dal ministro dello Sviluppo Economico
Pierluigi Bersani, Industria 2015 stabilisce le
linee strategiche della politica industriale italiana, basandole su una
concezione di Industria che integra non solo la produzione
manifatturiera ma anche i servizi avanzati e le nuove tecnologie, in una
prospettiva di medio-lungo periodo (il 2015)
[5] Alcoa Inc. (Aluminum Company
of America), è un'azienda americana
terza nel mondo come produttrice di alluminio,
dietro alla canadese Rio Tinto-Alcan e alla Rusal.[2] Dalla sua
sede operativa di Pittsburgh, in Pennsylvania,
Alcoa gestisce operazioni in 44 paesi.
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